Faccia a Faccia con Fulvio Rombo

28.03.2023

· Come hai iniziato a scrivere e cosa ti ha spinto a farlo?

Scrivo sempre, tutti i giorni, in preda ad una sorta di urgenza, di una necessità, di un sacrificio tanto piacevole quanto inevitabile. Come se non potessi farne a meno. Direi che scrivo da sempre: racconti, poesie, canzoni. Adesso anche romanzi. Credo che sia per tenere un contatto con il mio mondo interno. Ho sempre bisogno di parole e di storie per raccontarmi, riannodare il senso, attribuire il significato alle esperienze. Al tempo stesso scrivo per uscire fuori da me, alienarmi, immergermi in altri mondi, altre narrazioni, altri contesti. Come fosse una corsa, una fuga, un modo per non stare dentro la pesantezza della realtà e al tempo stesso un modo per tollerarla. La scrittura mi permette la via d'uscita dalla quotidianità e contemporaneamente la rigenerazione.

· Prima di essere uno scrittore, sei un lettore appassionato? Qual è stato il tuo primo libro? Qual è il tuo autore preferito? Qual è il tuo genere preferito?

Sono sicuramente un lettore appassionato. Penso, tra l'altro, che chi scrive debba leggere almeno tre volte tanto. I miei primi libri "veri", al di là di quelli per bambini o di animali (importantissimi anch'essi) sono stati "Le avventure di Tom Sawyer" e "Il giornalino di Gian Burrasca". Il mio primo libro "scritto" è stato, dopo una raccolta di poesie ("Sorsi d'anima" Ennepilibri 2007) "Era meglio orfani" (l'Erudita 2018), un romanzo sulle fatiche dell'adolescenza ma anche e soprattutto sull'essere adulti e genitori nell'attualità.

Difficile indicare un unico autore preferito. Tra i diversi, scelgo quelli più caratterizzanti la mia formazione di scrittore: Charles Bukowski, Jean Claude Izzo. Rispetto al giallo-noir, il genere mio prediletto, cito anche Giorgio Scerbanenco e Massimo Carlotto.

· Hai realizzato i tuoi sogni da bambino? Era già in programma di diventare uno scrittore o non ci avevi mai pensato da piccolo? Riesci a scrivere a tempo pieno o devi dividerti con altre attività remunerate?

Sogno sempre come un bambino e i miei sogni si evolvono, agganciandosi a percorsi di crescita e di evoluzione sempre nuovi e diversi. Mi ritengo un aspirante scrittore con tanta voglia di migliorarmi. Tra le mie fantasie di bambino c'era sicuramente quella di coltivare anche da adulto la dimensione della creatività. Riesco a ritagliarmi del tempo per scrivere ma non riesco a farlo a tempo pieno. Il mio lavoro è quello dello psicoterapeuta: un mestiere affascinante, che offre tanti spunti di riflessione sull'esistenza e anche tante storie. Anche per il mestiere che svolgo, scrivere è una pausa indispensabile nella mia quotidianità, per stare con me stesso, staccare rispetto ad un intenso coinvolgimento nelle sofferenze altrui, talvolta anche rielaborare il corposo e denso materiale che i pazienti mi offrono.

· Che tipo di scrittore sei? Organizzi il lavoro prima di metterti a scrivere o segui l'ispirazione? Parlaci di come procedi durante la stesura di un romanzo.

Sono il tipo di scrittore che ha un'idea di massima, un tema attorno al quale far ruotare i personaggi. La verità, però, è che quando mi siedo al computer non so bene quel che succederà. Per me la scrittura, in prima battuta, è un processo che assomiglia ad un flusso, un processo contaminato dalle dinamiche dell'inconscio. Da fuori è quasi una forma di magia: le vicende prendono forma nella mia mente ed io, da spettatore attento, le trascrivo il più fedelmente possibile, ammirato del prodigio che si svolge come un teatro nella mia psiche. In seconda battuta fare lo scrittore è potare, sfrondare, togliere. Rendere le parole taglienti, autentiche, corrispondenti al mio sguardo sulla realtà: emozionato ma al tempo stesso asciutto, proteso a smascherare le bugie che come esseri umani ci raccontiamo per sopravvivere.

· A quale dei tuoi personaggi sei più legato e perché?

Sono molto legato a Pietro Genovese, detto Genio, il protagonista di "Ayahuasca" (Golem 2022). I lettori, quelli che mi conoscono personalmente, dicono che mi assomiglia. Non so sia vero ma, allo stesso modo del sottoscritto, Genio è l'espressione di una personalità complessa, piena di contrasti. È intuitivo e brillante ma al tempo stesso appesantito dai propri tormenti, allegro e disperato, idealista e cinico. Effettivamente è un alter-ego. In lui la mia anima risuona spesso e parecchio.

· Esiste un personaggio di un romanzo che avresti voluto creare tu? Quale?

Adoro il personaggio di Fabio Montale della trilogia di Izzo, così intenso, malinconico, struggente.

· Tre curiosità su di te come scrittore. Raccontaci.

Sono certamente un perfezionista: non nel senso che curo la mia scrittura puntando all'alta letteratura: semmai cerco di far convivere, se possibile nella stessa pagina, il sacro e il profano. La scrittura deve avere il suono della mia mente, il "vaffanculo" può e deve stare accanto ad espressioni e descrizioni più eleganti e commoventi.

Nei miei libri voglio raccontare il mio tempo, le sue contraddizioni e le sue sofferenze, attraverso le contraddizioni e le sofferenze dei personaggi.

Anche se capisco il bisogno di ordine, catalogazione per rendere identificabile un'opera, non sono un cultore delle differenze tra i generi. Un buon romanzo è un buon romanzo. Il giallo-noir per me non è un "must", è una forma narrativa che mi permette di lavorare su temi che mi stanno molto a cuore. Attraverso il delitto e chi lo commette si può scrivere intorno alla morte (tema esistenziale), il male (tema che a me interessa dal punto di vista psicologico). Attraverso chi indaga si può scrivere intorno alla ricerca della verità, tema dalle radici e dalle origini filosofiche, ma anche sul rapporto con quello che accade nella vita e che ha il potere di spostarci dai nostri consolidati e quotidiani equilibri.

Le domande dei lettori

1. Come ti è saltato in mente di metterti a scrivere??

 In realtà io ho sempre avuto bisogno della scrittura, per stare con me stesso, distrarmi, giocare con le storie di altri e mettere a posto le mie (impresa disperata!)... il passaggio è stato non tanto lo scrivere in sè quanto il cercare di fare dello scrivere qualcosa di più "pubblico", che potesse arrivare a più persone... credo sia un'urgenza di creare contatti, di confrontarmi, di comunicare, di condividere!

2. Complimenti per i tuoi scritti che ho avuto l'onore di leggere. In questi ho trovato una bella scrittura e conoscendoti, dietro a questi c'è una bella persona te lo garantisco. Che ti chiedo? Che altro hai nel cassetto? O meglio, nella penna? Sta arrivando un nuovo giallo sanremese ?

Ricambio i complimenti per i tuoi libri che, come ci siamo detti, ho apprezzato parecchio. Credo che un nostro punto in comune sia il valore e i protagonismo che attribuiamo ai luoghi. Tu le tue parti, i tuoi monti, l'isola di San Giulio. Ed io la mia Sanremo, poco festivaliera ma più autentica e vissuta. In cantiere quindi c'è effettivamente un nuovo giallo "sanremese", una nuova avventura di Genio, Nina e l'A-Team...sono alle correzioni finali e dovrebbe uscire da Settembre in poi, sempre edito da Golem... ti e vi terrò aggiornati...un abbraccio!

3. Quali sono secondo te i 3 gialli/noir più belli che tu abbia letto? E quali sono gli autori che pensi possano averti influenzato di più?

Il tuo è un domandone... Non può mancare la trilogia di Fabio Montale di JC Izzo...e sarebbero già tre... Ci aggiungerei "I ragazzi del massacro di Scerbanenco" e "La verità dell'alligatore" di Carlotto. Mi piace pensare che i tre autori citati siano anche quelle mi hanno influenzato maggiormente, per atmosfere, definizione dei personaggi, tipo di scrittura. A tutto questo faccio un'altra aggiunta, Bukowski, per la scrittura dissacrante e quella capacità di unire il sacro con il profano, la parola disturbante con la capacità di svelare il reale. 

4. Da cosa o da dove nasce il titolo del tuo romanzo?

Il titolo in sè riguarda una bevanda utilizzata da alcuni popoli del Sud America, in alcuni riti. Pur prendendo le mosse da ciò, Ayahuasca è qualcosa di più: nasconde l'intreccio di situazioni e personaggi che stanno dietro allo strano omicidio di una donna...di più non posso rivelare perché altrimenti spoilero troppo... 


Sinossi

Pietro Genovese è un antropologo sanremese dalla mente geniale e altrettanto instabile. Un lunedì mattina, nello studio professionale di cui è titolare e che condivide con lo psichiatra Luca Binotto, proprio nella stanza ambulatorio di quest'ultimo, scopre una donna legata, imbavagliata e senza vita. Genovese, sconvolto, si mette alla ricerca dello psichiatra che, sulle prime, sembra irreperibile. Non appena riesce a contattarlo apprende che, per tutto il fine settimana, Binotto è stato fuori città con la moglie. Pietro, dal canto suo, è passato in studio il giorno prima, la domenica pomeriggio, e ha trovato tutto in ordine. Lo studio è rimasto chiuso, non ci sono segni di effrazione e nessuno tranne loro due, gli unici in possesso delle chiavi, poteva avere accesso. Pietro si rivolge alla polizia.

Le indagini vengono condotte dalla squadra del commissario Nina Magellano. Nina è una vecchia conoscenza di Pietro. Con lei, Pietro condivide una profonda complicità e un rapporto intenso, difficile da decifrare. Completano la squadra della Magellano: Perrone, detto il Perro, pedante e ruffiano; Santamaria, dalle sembianze di un nano delle montagne, sapiente utilizzatore della tecnologia per il reperimento di informazioni; Ozzy, cerimonioso e strambo referente della Scientifica, così chiamato per la somiglianza con il celebre ex-cantante dei Black Sabbath.

Pietro, già consulente della polizia in altre occasioni, si unisce a Nina nel lavoro investigativo, ma si avvale parallelamente anche dell'aiuto del cosiddetto A-TEAM, lo sgangherato gruppo degli amici di una vita: Morandi, per tutti Mora, intraprendente e trafficone; Schenardi, conosciuto come Schiena, contadino, sensibile ad ogni tipo di ingiustizia; infine Pignatelli, l'istrionico Pigna, artista e sciupafemmine. Ognuno è alle prese con i propri problemi esistenziali ma tutti insieme costituiranno una risorsa, spesso agendo attraverso percorsi non convenzionali e sfidando il limite della legalità, in nome di quella lealtà tra sodali costruita fin dall'infanzia.

Le indagini riveleranno la drammatica storia personale di Monica Zanotti, la vittima, caratterizzata dalla perdita del figlio primogenito in circostanze poco chiare, la sua sete di giustizia e di vendetta, l'incontro con un'organizzazione terapeutica dalle metodologie discutibili guidata da un leader di grande carisma ma di dubbia moralità.

La storia è ambientata in una Sanremo inedita e affascinante, lontana dall'immagine patinata e festivaliera con la quale spesso viene rappresentata. Le ricerche giungeranno a scoperchiare un micro-mondo, costituito da persone fragili che si illudono di riscattare le proprie miserie, affidandosi a individui che non tarderanno a dimostrarsi senza scrupoli. La vicenda procede tra rocamboleschi colpi di scena fino ad un finale tutto da scoprire.

Sono i miei amici, gli unici che mi restano, dopo lutti, tradimenti, distacchi. Non potremmo essere più diversi. Eppure. Viviamo tutti vite un po' al limite. Abbiamo da tempo preso coscienza della nostra solitudine, chi più chi meno, e di quanto non sia affatto peggio di altre modalità di esistenza. Il rapporto di tutti noi con la realtà è assolutamente contraddittorio. Non ci piace questo mondo, e detestiamo i figli di questo tempo. Se avessimo vent'anni fonderemmo una comune o un commando rivoluzionario. Ma ne abbiamo quasi cinquanta. Abbiamo imparato che il mondo non si cambia. È già tanto se non ci si fa cambiare dal mondo. Siamo disincantati. Ognuno di noi ha costruito un rapporto distaccato e strumentale, di convenienza, con la vita. Quello che fa stare bene lo si tiene e lo si conserva il più a lungo possibile. Quello che fa male, ciò che procura troppo dolore o troppa fatica tendenzialmente, se si può, lo si evita. Non ci sentiamo parte del tutto.

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