Faccia a Faccia con Davide Rigoni

17.10.2023

1. Come hai iniziato a scrivere e cosa ti ha spinto a farlo?

Scrivo per passione fin dalle elementari, ho sempre amato l'arte della scrittura e la lingua italiana ed è il mio preferito per comunicare.

2. Nei tuoi romanzi ci sono messaggi che vuoi trasmettere al lettore? Se sì, quali? Ci sono argomenti che non tratteresti mai nei tuoi romanzi? Quali e perché? 

Scrivo gialli e thriller, quindi il mio primo obiettivo è intrattenere con il mistero e la suspense mantenendo il più stretto contatto con la realtà. Ma cerco sempre di portare elementi di riflessione, prima di tutto sul fatto che non tutto è ciò che sembra, che è fondamentale osservare da vari punti di vista per poter giudicare, che il mondo non è bello o brutto, non è giusto o sbagliato, ma è asettico e in qualche modo dobbiamo imparare a gestire le situazioni più disparate. Credo che l'unico argomento di cui non parlerei mai è la politica: troppo divisivo, troppo strumentalizzato per etichettare le persone o il loro lavoro senza neanche conoscerle.

3. Prima di essere uno scrittore, sei un lettore appassionato? Qual è stato il tuo primo libro? Qual è il tuo autore preferito? Qual è il tuo genere preferito? 

Credo il mio primo libro sia stato "Zanna Bianca", da bambino. Il mio primo giallo (se possiamo definirlo così) è stato invece "Il nome della rosa" di Umberto Eco. Leggo al 90% gialli e thriller, di rado spazio su altri generi, i miei autori preferiti sono Jeffery Deaver, Michael Crichton, Riccardo Bruni, Umberto Eco, Robert Harris.

4. Hai qualche rito particolare che segui prima e durante la scrittura? Hai un posto dove preferisci scrivere? Le tue sessioni di scrittura hanno una colonna sonora oppure hai bisogno di assoluto silenzio per concentrarti? 

Nessun rito particolare, generalmente resto alla scrivania, scrivo di sera, con poca luce, a volte un bicchiere di whisky, con il maggior silenzio possibile.

5. Esiste un personaggio di un romanzo che avresti voluto creare tu? Quale? 

Amo Sherlock Holmes per le sue caratteristiche, credo sia lui quello che avrei sognato di creare. Ma se posso dare una risposta con un pizzico di presunzione, sono fiero del protagonista del mio primo romanzo, Andrew Sozzi: è esattamente chi avrei voluto creare e non avrei potuto desiderare di dar vita a nessuno di diverso.

6. Tre curiosità su di te come scrittore. Raccontaci

- Pianifico la storia nei dettagli prima di scrivere, generalmente con un calendario in cui riporto gli eventi in sequenza, giorno dopo giorno, e inizio a scrivere con la storia già delineata da cima a fondo

- Quando penso ai personaggi, cerco poi attori o personaggi famosi a cui farli "interpretare" e che assomiglino il più possibile a ciò a cui ho pensato, in modo che nella storia, affinché sia più realistica, la descrizione fisica sia quella di una persona reale

- Sono ossessionato dalle location: nei miei libri cerco di portare il lettore nei luoghi in cui si svolgono le azioni, descrivendole nei dettagli. Le scelgo con cura e sono tutte location reali e verificabili, anche le più particolari o quelle in cui si svolge solo una scena.


Trama:

Londra, 2009. Un ragazzo ucciso. Un acchiappasogni. Una raccapricciante mutilazione. Nessun movente. È solo l'inizio di una serie di omicidi che diventeranno l'ossessione dell'ispettore Andrew Sozzi, detective di Scotland Yard, un tempo Agente Indiano nelle Riserve del Nord Dakota. Tra le strade di una Londra livida e caotica, i fantasmi del passato lo accompagneranno nella caccia al killer fino allo sconcertante epilogo. 

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Estratto:

"Si mosse di scatto e girò l'angolo a destra per arrivare a vedere il grande salotto nella sua interezza. Quello che le si presentò davanti agli occhi arrivò diretto allo stomaco come un violentissimo pugno. Per una frazione di secondo la vista si annebbiò e le gambe cedettero perdendo ogni impulso di forza statica, mentre uno sgradevole odore acido misto tra ferro e sudore le riempiva le narici. Fu un attimo, un breve istante di mancamento non sufficiente a farla cadere a terra. Dopo essersi spenta dalla mente al corpo come se qualcuno le avesse staccato di colpo la corrente, con la stessa violenza con cui stava per svenire recuperò ogni energia e lanciò un urlo lacerante che riempì la scena e coprì ogni piccolo rumore di sottofondo, scattando un'istantanea reale della scena. A terra, in una pozza di sangue c'era Billy, supino. Anche il torace era ricoperto di sangue. In quel momento la vista non era nitida, ma gli consentiva solo una visione sfuocata di tutto ciò che era nella stanza. Vide la superficie del suo petto del tutto irregolare, come se lembi di stracci strappati e intrisi di sangue ne rompessero la linea morbida. All'ingresso opposto della stanza c'era Jacques, steso sul pavimento nella posizione contraria, con la faccia a terra, pulito, senza visibili macchie di sangue. Con il terrore di chi rifiuta con assoluta fermezza la conferma di ciò che ancora non accetta come reale, fece un timido passo verso il figlio minore, si concentrò per recuperare del tutto la nitidezza del proprio sguardo e vide un profondo squarcio sul torace di Billy. Vomitò e in quello stesso momento svenne."

Trama:

Valle del Vajont, 1962: da pochi anni la diga è stata completata e messa in funzione, ma la popolazione vive nella paura. Piccoli smottamenti e scosse fanno temere il peggio. La ditta costruttrice, la Sade, è consapevole dei problemi e dei rischi, ma li tiene nascosti, con la complicità delle più alte sfere governative, per poter collaudare l'impianto a pieno regime prima che venga ceduto all'Enel, come disposto dalla legge sulla nazionalizzazione delle imprese idroelettriche. A Longarone arrivano solo poche voci sulla vicenda, finché il brigadiere Tiziano Bortot, della locale caserma dei Carabinieri, indagando sul suicidio di Egisto Zoldan, un operaio della diga, viene a sapere dei contrasti tra popolazione locale e impresa costruttrice. Bortot, che è un uomo timoroso, senza iniziativa e preoccupato solo di evitare problemi, viene catapultato suo malgrado in una vicenda dai contorni oscuri quando un collega del defunto gli rivela che Zoldan, prima di morire, aveva tentato di rompere il muro del silenzio imposto dalla Sade. Sarà in grado, da solo, di evitare l'inevitabile, scrivendo un altro finale per la tragedia del Vajont?

Un romanzo basato su documenti e testimonianze utilizzati durante il processo.

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Estratto:

(cap.3): Il Bar da Tan non fu difficile da trovare: era sulla vecchia strada postale e a quell'ora,
anche per le modeste dimensioni, era gremito di una folla eterogenea e assortita, ma allo stesso tempo
caratterizzata da un indefinibile tratto comune di riconoscibilità. Entrò nell'ambiente ormai saturo di fumo e
ordinò una grappa al banco, mentre tentava di scorgere tra gli avventori l'uomo che l'aveva in qualche modo

trascinato fin lassù. Niente da fare. Iniziò a immaginare di aver capito male il luogo dell'appuntamento, o che
quell'individuo non si sarebbe mai presentato. Peggio: che fosse una specie di trappola e qualcuno gli avrebbe
fatto del male. Spinse la porta verso l'esterno in preda a un primo accenno di panico e una volta fuori si
appoggiò al muro, confortato dal duro profumo della grappa: da lì avrebbe potuto controllare meglio la
situazione, nonché osservare chi arrivava e chi se ne andava.
"Tu non sei di queste parti, vero?"
"Mi scusi?"
"Tu vieni da giù, da Longarone."
La voce roca e tremolante proveniva da un volto nascosto sotto un cappello a tesa, filtrata da una folta barba
e protetta da un tabarro come non ne vedeva da tempo. Il bicchiere di grappa che in qualche modo restava
in precario equilibrio nella mano destra era molto più grande e pieno di quello che Tiziano faticava a vuotare.
"Si vede così tanto?"
"Non ti ho mai visto. Ci conosciamo tutti, qui. E poi basta guardare come sei vestito, come ti muovi. Ti si nota
come un prete nella neve."
"Capisco."
"Cosa ci fai quassù di sera?"
"Niente di importante, devo incontrarmi con un amico."
"E non andava bene Longarone? Non ce le avete le osterie?"
"Volevo respirare un po' di aria fresca."
Il terzo grado del montanaro, dopo l'iniziale scocciatura, intimorì Tiziano. Era da solo tra gente sconosciuta e
poco ospitale. Scoprì le carte sperando che anche questi contadini provassero un briciolo di timore
istituzionale verso le forze dell'ordine.
"Sono un carabiniere."
"E hai qualcosa a che fare con i carabinieri di Erto?"
"Non li conosco nemmeno. Siamo vicini, ma siamo in un'altra regione."
L'uomo cercò di dare forza alle proprie parole, ora appena sussurrate, aggrappandosi d'improvviso al
giubbotto di Tiziano, mentre gli si fece così vicino che l'odore di grappa proveniente dal suo alito superò per
intensità quello che saliva dal bicchiere:
"Devi fare qualcosa per aiutarci. Qui nessuno ci ascolta e ci rispetta."

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