Faccia a Faccia con Piergiorgio Vigliani

09.04.2024
  1. Come hai iniziato a scrivere e cosa ti ha spinto a farlo?

Ho sempre amato scrivere, sin da piccolo, ma per lungo tempo mi sono dedicato quasi esclusivamente alla stesura di testi per canzoni (qualche anno fa ho addirittura collaborato, con un paio di brani, a un CD di un cantautore emiliano). Sono sempre stato un appassionato di letteratura di genere (gialli, noir e simili) e così, alla fine degli anni '90 del secolo scorso decisi di scrivere un libro tutto mio e di fare "il grande salto": in poche settimane buttai giù un romanzo che però lasciai nel cassetto per almeno 3 o 4 anni. Rileggendolo a distanza di tempo, mi accorsi che non era così male: lo inviai in visione a qualche editore e, dopo qualche mese, riuscii a vedere la mia fatica pubblicata su carta.

  1. Prima di essere uno scrittore, sei un lettore appassionato? Qual è stato il tuo primo libro? Qual è il tuo autore preferito? Qual è il tuo genere preferito?

Appartengo alla categoria dei cosiddetti "lettori forti" (anche perché, secondo me, per qualificarsi scrittori bisogna prima di tutto essere lettori). Fino a qualche tempo fa leggevo circa 100 libri l'anno; ora – da quando è nata mia figlia – ho meno tempo a disposizione e mi assesto su una media di una settantina l'anno. Il primo libro della mia vita fu "Viaggio al centro della terra" di Jules Verne, avevo circa 6 anni. Per quanto concerne i miei generi preferiti, alterno letteratura contemporanea a gialli e noir. Autori preferiti? Ne ho tanti… Tra i contemporanei direi Roth, McCarthy, Paasilinna, Pamuk, Mo Yan, Houellebecq, Auster… e tanti altri. Tra gli autori di genere, cito Crais, Connelly, Rankin, Mankell, Indridasson… e altri ancora.

  1. Hai realizzato i tuoi sogni da bambino? Era già in programma di diventare uno scrittore o non ci avevi mai pensato da piccolo? Riesci a scrivere a tempo pieno o devi dividerti con altre attività remunerate?

Non ci avevo mai pensato… anzi, alle scuole medie ero la disperazione della mia Prof di lettere che, di me, diceva: per scrivere ci vuole fantasia… tu ne sei totalmente sprovvisto. Probabilmente si sbagliava. Credo che in Italia solo una cinquantina di autori riesca a vivere dignitosamente del proprio lavoro. Per tanti, come il sottoscritto, la scrittura è – e rimarrà sempre – una passione: invento storie e le faccio vivere sul foglio scritto esclusivamente per me stesso; poi se qualcuno le legge, tanto di guadagnato. Ma il profitto si misura in termine di gradimento e complimenti… raramente in termini economici.

  1. Che tipo di scrittore sei? Organizzi il lavoro prima di metterti a scrivere o segui l'ispirazione? Parlaci di come procedi durante la stesura di un romanzo.

Sono uno scrittore pigro. Ho un sacco di idee e trame che vagano per l'anticamera del cervello, ma non sempre ho il tempo e la volontà di darle alla luce; di conseguenza devo letteralmente esercitare una forte "costrizione su me stesso" per sedermi davanti al PC affinché si trasformino in qualcosa di articolato.

I primi due romanzi li avevo scritti "di getto", senza avere in mente il punto di arrivo ma solamente qualche idea abbastanza generica sul plot e sulla sua evoluzione. Nel terzo romanzo (uscito – come sicuramente noterete – a 20 anni di distanza dai precedenti) mi sono organizzato meglio: ho redatto una scaletta e l'ho seguita in maniera abbastanza rigida, discostandomi raramente dal programma… e sicuramente mi sono trovato più a mio agio.

  1. a quale dei tuoi personaggi sei più legato e perché?

Risposta molto semplice (per me). L'ultimo nato: il Professor Arduino Venisio (protagonista di "L'ombra del destino"). Forse perché è quello che trovo più credibile, più umano e complesso: un antieroe che ha pregi e difetti e che è persino capace di piangere

  1. Esiste un personaggio di un romanzo che avresti voluto creare tu? Quale?

Tanti. Nel panorama del giallo/thriller cito due nomi, in particolare: il Gideon Fell di John Dickson Carr (un alfiere del giallo classico) e il John Rebus di Ian Rankin (tra i big del noir contemporaneo).

  1. Tre curiosità su di te come scrittore. Raccontaci

Solo tre? Vediamo…

Innanzi tutto sono uno scrittore molto pigro, come ho già detto sopra. In secondo luogo, sono particolarmente autocritico (se rileggo i miei libri… trovo una marea di difetti e vorrei riscriverli da capo). E – per concludere – scrivo quando solo ho voglia: sono passati 20 anni dal secondo al terzo libro… spero di non farne trascorrere altrettanti prima di dare alla luce il quarto.   

Trama

Arduino Venisio è un professore di Lettere in pensione. Per sentirsi impegnato e utile in una Torino multietnica si presta a insegnare l'italiano a ragazzi stranieri. Una sera, terminata la lezione, incontra la madre di uno di loro che gli comunica l'uccisione di Ahmed. Venisio si improvvisa investigatore per raggiungere la torbida verità, complicata e ostacolata da pregiudizi.


Ricordava i colori, unici e intensi, che rivestivano il territorio con le loro ammalianti sfumature: il verde smeraldo delle palme si alternava all'ocra dissolvente della terra e il giallo bruciato dei cespugli contrastava con l'azzurro di qualche sparuta oasi che lottava quotidianamente per la sopravvivenza.
Ricordava l'odore del mare, quella impagabile mistura di salsedine e altre fragranze, sempre mutevoli col variare delle stagioni, impreziosita dal sentore delle spezie: la dolce cannella e l'amarognolo cumino, la stuzzicante paprica e il pungente pepe nero. Molto spesso si arricchiva dell'essenza suadente e profumata di alberi lontani – arganie, ontani e opunzie – che veniva trasportata dall'aria calda.
Ricordava il sapore zuccherino dei datteri che si potevano staccare dalle palme con uno strappo energico per poi portarli alla bocca, divorando a sazietà la loro polpa morbida; il gusto asprigno degli agrumi, ruvidi e succosi e quello delle olive verdi che restava a lungo appiccicato al palato.
Ahmed ricordava tutto ciò mentre moriva, in un luogo che si trovava a più di 2000 chilometri di distanza.
Un foro di proiettile nel petto.
Una vecchia borsa sportiva piena di argenteria e suppellettili ai suoi piedi.
Lo stupore nel profondo degli occhi.


Sarebbe bastato osservare il suo viso per decretarne l'origine: i tratti somatici e il colore della pelle testimoniavano nitidamente l'origine nordafricana. «Tu Professore Dudi?» mi chiese, con un italiano alquanto approssimativo. La scrutai per alcuni secondi, incrociando il suo sguardo. Gli occhi erano scuri come una notte senza luna e trasmettevano una pena infinita, che filtrava attraverso le lunghe ciglia come una luce velenosa e lancinante. Provai un istintivo senso di preoccupazione: una specie di fluido sottile e incandescente che risaliva attraverso le mie vene, espandendosi come una nuvola gassosa all'interno della mia anima di anziano bucaniere della vita. «Sì, sono io» risposi, con un'inquietudine macchiata di ardente curiosità. Quando la donna parlò, il mio mondo si capovolse. Mi sentii come una conchiglia sballottata da un'onda che si infrange improvvisamente sulla battigia. Come ebbi modo di scoprire successivamente, quel momento segnava un importante cambiamento all'interno della mia vita, una frattura tra ciò che era stata fino ad allora e quello che sarebbe accaduto da lì in avanti. Mi resi immediatamente conto che le sue parole, dure come sassi, mi avrebbero accompagnato a lungo: non solo per quella sera, ma per tutte quelle che sarebbero venute in seguito. «Mio nome Naima Boussoufa. Madre Ahmed. Mio figlio morto».


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