Faccia a Faccia con Tea Vergani

07.11.2023

· Come hai iniziato a scrivere e cosa ti ha spinto a farlo?

Negli anni '80, frequentavo la mitica Libreria del Giallo, a Milano. Mitica, perché già negli anni '80 vendeva SOLO libri gialli e noir e faceva già le presentazioni degli autori. Tecla Dozio, la sua fantastica proprietaria, era una musa per tanti scrittori che frequentavano il posto: Pinketts, Lucarelli, Dazieri, e tantissimi altri. Fu proprio Tecla a spingermi a scrivere un giallo, per inviarlo al Premio Mystfest di Cattolica. Neanche a farlo apposta, quel primo mio racconto vinse quel concorso. Mondadori me lo pubblicò, come appendice ad uno dei suoi Gialli. E per me fu una grande emozione. Da allora: PAUSA, stand by. Per più di quarant'anni non ho più scritto alcun romanzo o racconto giallo. Mi sono dedicata solo al lavoro, per il quale ho scritto tanto e pubblicato vari manuali e saggi.

· Prima di essere uno scrittore, sei un lettore appassionato? Qual è stato il tuo primo libro? Qual è il tuo autore preferito? Qual è il tuo genere preferito?

Oh sì, leggo appassionatamente e tanto. Ho i miei autori di riferimento, leggo tutti i libri che pubblicano. Il primo libro che ricordo d'aver letto è stato di John Dickson Carr: "Gideon Fell e il caso dei suicidi". Mi conquistò completamente leggere un enigma della camera chiusa. Avevo circa 7 anni ed il libro era di mia madre. Ricordo che ne lessi subito l'ultimo capitolo, pensando così di riuscire a non spaventarmi, scoprendo subito l'assassino. In realtà, non funzionava proprio così, era la mia ingenuità a farmelo credere. In seguito, il mio autore preferito è stato Rex Stout. Attualmente, amo molto Jean-Luc Bannalec, Deaver e Connelly. Leggo anche libri di storia, biografie e libri di viaggi, ma soprattutto libri gialli. Non di tutti i sotto generi, però! Prediligo gialli classici e deduttivi, thriller legali e medici. Non tutti gli hard boiled americani mi piacciono, mentre adori i loro gialli polizieschi, soprattutto quelli di Michael Connelly, Ed McBain, Invece, non amo molto i noir e le trame troppo violente di alcuni thriller, quelli con mostri e psicopatici come protagonisti. Il Bene deve vincere sul Male, d'accordo. Però preferisco il Male che c'è nelle persone normali, più sottile ma non meno inquietante.

· Come hai iniziato a scrivere e cosa ti ha spinto a farlo?

Circa 4 anni fa ho ripreso a scrivere un romanzo giallo. Ero in Trentino e salendo sulla cima di una montagna ho incontrato un gruppo di archeologi che scavavano per riportare alla luce una fortezza longobarda. Tra i ruderi della sua chiesetta medievale, c'era un antico altare di pietra. Se ne stava lì, sotto le intemperie. Immediatamente, ho pensato che fosse un posto molto adatto per immaginare un delitto, con una vittima adagiata lì, sopra l'altare. Una visione molto gotica, macabra e fantastica, ma tutta la trama del libro m'è arrivata in quel momento, in quel posto preciso. Ho ripreso la scrittura, provavo una forte pulsione. Ho aggiunto la storia della valle, dal Medio Evo alla Grande Guerra, che già conoscevo. Ho descritto la gente del posto, usando i loro tipici intercalari e le burle di paese. E ne è uscito il libro: Delitti A Castel Campo. Senza sapere come mai, è diventato anche umoristico e divertente.

· Cos'hai provato la prima volta che hai tenuto in mano il tuo romanzo? Com'è stato vederlo sugli scaffali delle librerie o scoprire che qualcuno lo stava leggendo?

È stato molto gratificante. Narcisismo puro! Me lo sono guardato bene, ammirando tutti i suoi… sei lati. Qualche settimana dopo, l'ho visto nella vetrina di una libreria. Se ne stava tutto tronfio tra un Ken Follet e un de Giovanni. L'ho fotografato, per orgoglioso ricordo, come se fosse il mio primo figlio e avesse appena vinto una medaglia alle gare dell'asilo.

· A quale dei tuoi personaggi sei più legato e perché?

Il protagonista è Liro, un uomo del piccolo paese trentino dove si svolge l'investigazione. La fonte di ispirazione è stato mio marito. Divertente, scanzonato, sempre in movimento. Tutti gli scherzi narrati nel libro sono stati veramente messi in atto da lui e da altri suoi sciagurati compagni di gioventù. Anche per tutti gli altri personaggi ho preso spunto da persone veramente esistenti. Mi sono premunita e ne ho cambiato i nomi, ma ogni tanto in quel paese di Fiavè dove è ambientata la trama qualcuno li riconosce e ne ride. Beh, a parte chi ha commesso i crimini che ho descritto, ovviamente.

· Hai qualche rito particolare che segui prima e durante la scrittura? Hai un posto dove preferisci scrivere? Le tue sessioni di scrittura hanno una colonna sonora oppure hai bisogno di assoluto silenzio per concentrarti?

Scrivo ovunque e con qualunque mezzo. Quando ne ho il tempo. Mentre scrivo non percepisco lo scorrere del tempo, non sento se squilla il telefono o se qualcuno mi chiama. Sono pessima, da questo lato. Ho bruciato tante pentole, snervo e irrito chi mi sta vicino, mi dimentico di mangiare e di bere. Scrivere non è un problema, non ho mai avuto difficoltà. Caso mai, posso affermare che non amo revisionare i miei testi, perché sono sempre troppo lunghi e devo tagliare e ancora tagliare. Sofferenza!

· Tre curiosità su di te come scrittore. Raccontaci

a) Il territorio in cui ambiento i libri è il Trentino. Non sono in molti a farlo, infatti spesso i lettori sbagliano e lo confondono con l'Alto Adige, da cui hanno tratto spunti molti libri e serie televisive. Qui, gli abitanti erano austro-ungarici, ma diversi. Gli abitanti hanno tutt'ora radici e particolari abitudini dell'epoca, che cerco di descrivere per farli conoscere. In fondo, chi non ama il Trentino?

b) Posso usare il plurale dicendo che scrivo "libri gialli" perché ne ho terminato un secondo, che sarà pubblicato tra qualche mese. Lo prometto solennemente: scriverò solo libri investigativi classici, deduttivi. Non ci sarà mai troppa violenza. Né userò scorciatoie per risolvere gli enigmi, come ad esempio utilizzare una soluzione sovrannaturale. E darò sempre al lettore abbastanza informazioni da poter risolvere da solo l'enigma. Se ci riesce... eh!

c) Amo studiare la Storia del luogo in cui ambiento i delitti, e usarla nella mia trama. Il mio prossimo libro, ad esempio, avrà due trame parallele che si svolgono nel paese di Arco, una storia è nel Medio Evo ed una è contemporanea. A metà tra un giallo storico ed uno investigativo, con i capitoli che si alternano. Solo alla fine, le due trame si uniscono e si completano. Perché spesso i motivi dei delitti sono spiegati dal passato.

d) Mi piace trasgredire qualche regola. Questa è la quarta curiosità su di me: nei post di questo bel gruppo farò promozione solo ai libri scritti da autori italiani e magari editi da piccoli Editori. Per convinzione, perché hanno poco spazio per farsi conoscere.

Le domande dei lettori

1. La scintilla dell'idea della storia che racconti deriva da un fatto della realtà o è anch'essa di fantasia? Nei tuoi scritti preferisci avere molti personaggi o un numero limitato (diciamo meno di 20)?

 Lo spunto mi arriva dall'esterno. In un libro è stato un altare longobardo di un sito archeologico, in un altro una falesia con grotta da ereditario. Il terzo, IL TESTAMENTO DEL CONTE, invece è arrivato dal caso. Ho riallacciare amicizia con un bambino con il quale avevo giocato negli anni '60. Mi ha raccontato la storia della sua famiglia e lo spunto è scattato dai suoi ricordi. Nei miei libri i personaggi non sono mai molti, perché preferisco approfondire e non allargare. Ma forse è perché non sono brava abbastanza... eh eh! Se penso a Ed Mc Bain, nei suoi gialli ambientati nell'87° distretto...! Lui riusciva a descriverne anche 50, senza mai smarrire il lettore.

2. Molti giallisti sono alla ricerca del delitto perfetto. Tu come pianifichi i delitti?

Parto proprio da quello: l'omicidio. So già all'inizio chi sarà ucciso/a nella storia che racconterò. Il difficile sarà spiegare perché. Qualche volta so già come avverrà l'omicidio, ma non sempre. Preparo una scaletta, con tutti i capitoli. Non perché io abbia un metodo, ma è per non scordarmi nulla. Perché quando inizio un libro, ho già tutta la storia in mente. Ognuno dei miei due libri gialli storici ha richiesto due anni per essere completato, perché ho dovuto approfondire molto le mie conoscenze del Medioevo nel Trentino. L'ultimo, invece, è stato scritto in soli 3 mesi, ho dovuto ripassare la Storia del fascismo a Ferrara, nel 1943. Non so perché , infatti, ma per me gli omicidi che ho narrato hanno sempre avuto radici nella Storia, nel passato. Ma in quelli che sto scrivendo ora, non più. Perché le regole sono fatte per essere trasgredite, no?

3. Hai scritto che hai tutto in testa. Ma non ti affidi a fogli già impostati oppure a pc con programmi specifici?

Non per la trama del delitto perché quella è un'architrave, tutta mia autenticamente. Scrivo con Word, null'altro. 

4. C' è stata una ricerca anche per i nomi dei personaggi nei tuoi precedenti lavoro, e in quello nuovo come ti sei orientata per la scelta?

Pensando al carattere del personaggio, cerco un nome adatto. Però, nel Delitti a Castelcampo ho cambiato nomi di persone reali, per non offenderle. Nel Testamento del Conte, invece, i nomi sono veri perché son parenti del mio co-autore Franco Marani. Nel terzo libro, Delitti nel monastero di Arco, i nomi dei personaggi storici medievali sono veri, invece quelli della trama contemporanea li ho inventati. Sai una cosa: farlo mi diverte molto!

- sono Franco, coautore con Tea de "Il testamento del Conte". Un paio di nomi li ho scelti io: la cattiva è Lilith, originariamente nome di un demone. Suo marito è Pietro, nome del mio ex commercialista, che ho fatto radiare dall'ordine...

- Scelgo i nomi per effetto di suggestioni del momento. Il nome è importante, diventa una bussola, un punto di riferimento per la fantasia. (Tea)

Trama:

Il romanzo appartiene al sottogenere dei "gialli di famiglia", ambientato nella placida provincia del nord Italia. Si tratta di una saga familiare, dove relazioni e affetti confliggono con gli interessi economici, dove gli errori del passato fanno emergere desideri repressi e causano inquietanti delitti.

Il protagonista di questo romanzo vive a Sezzadio, piccola località piemontese. Il ritrovamento casuale di un antico documento medievale gli fa scoprire la storia della sua famiglia paterna e di un terribile delitto, probabilmente rimasto impunito nel passato.

Incuriosito, senza altri parenti al mondo a parte un fratello con il quale ha un rapporto conflittuale, inizia a Intraprendere un percorso di riavvicinamento alla famiglia materna, che non ha avuto modo di conoscere. Riesce a ritrovare la nonna materna, che vive nel territorio tra Ferrara e Modena. Dal riaccendersi del rapporto affettivo con l'anziana donna, scopre terribili e tragici avvenimenti legati alla Seconda Guerra Mondiale e alle persecuzioni fasciste degli ebrei in quel territorio.

Mentre il protagonista ripensa a tutto il suo stile di vita e fa progetti per il futuro, il riavvicinamento con i suoi parenti fa emergere antichi rancori familiari, generando numerosi omicidi.


Estratto:

La giornata uggiosa aveva dato pochi risultati. Del ramo famigliare paterno non c'erano tracce interessanti, in internet.

Il testamento era in una cassapanca ereditata dagli avi paterni, Marani o Marano che dir si fossero. Spesso, i cognomi acquisivano il plurale, con i secoli.

Franco era inquieto, non voleva fermarsi nella ricerca delle sue radici.

Più ci pensava, più il tarlo gli solleticava il cervello.

Restava una sola ulteriore possibilità: chiedere notizie alla nonna materna, unica sua parente rimasta al mondo.

Ma non si trattava d'una cosa semplice. Le relazioni con lei erano state interrotte molto tempo prima. Calcolare il momento esatto della rottura era molto facile: tutto era successo quando i suoi genitori s'erano sposati. Franco era stato concepito due anni dopo, quindi sommando l'età di Franco ai due precedenti anni, risultava chiarissimo che nonna e sua madre avevano strappato il legame che le univa circa 50 anni prima. Non pochi. Franco non aveva mai conosciuto sua nonna, in casa era sempre stata un argomento tabù. Nel frattempo, entrambe le donne avevano vissuto una propria vita indipendente, senza mai cercarsi.

Nessuno, in casa, aveva mai spiegato a Franco le ragioni di tutto questo. Fin da piccolo, quando aveva chiesto della nonna, non gli avevano dato spiegazioni. Vedendo il viso addolorato di sua madre, a un certo punto aveva perfino smesso di fare domande.

Neanche in punto di morte i genitori avevano lacerato quel velo.

L'unica cosa che Franco sapeva era il nome e cognome della sua nonna materna: Silvia Lodi. Supponeva che fosse residente a Mirabello, perché era il luogo dove risultava essere nata sua madre. Ma era solo un'ipotesi, perché le persone cambiano casa e città, spesso per motivi personali. Riflettendo, Franco ammise a sé stesso che era solo una probabilità, dato che magari all'epoca risiedeva altrove, e quello poteva benissimo anche essere stato solo il luogo del suo parto.

Franco non riusciva a decidere se fosse il caso di affrontare una conversazione con sua nonna Silvia.

Temeva il suo rifiuto, ma anche l'emergere di sentimenti dolorosi.

Era una grande responsabilità, provava incertezza.

«In fondo, - si diceva - è giusto che io vada a rivangare vecchi dolori, solo per accontentare la mia curiosità? Chi sono io, per farlo? Magari, per lei potrebbe essere un argomento straziante, chi può dirlo?»

Dopo pranzo, ancora era irrequieto. Girava a vuoto per la casa, si ritrovava assorto a guardare il testamento, la cassapanca, lo stemma dei Marano.

Quello, era proprio figo. Più lo guardava, più riusciva a immaginarsi in armatura, col cimiero ornato da rosse piume. A cavallo, naturalmente. E con uno spadone allacciato al fianco.

Sul colore del manto cavallino era ancora indeciso. Meglio un baio o un morello? Sul nome era sicuro: si sarebbe dovuto chiamare Marengo, come il cavallo di Napoleone Bonaparte. Un nome, un programma.

La scelta rifletteva il carattere dominante di Franco, uomo che aveva usato ogni grammo della sua intelligenza per farsi spazio nella vita, per svettare sui propri simili. 



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Trama:

Un vero giallo storico legato a fatti avvenuti durante il periodo successivo all'anno Mille. Storie avvenute sulle rocche della città di Arco (Trentino), nelle grotte e nel monastero. Ricerche storico-archeologiche ne danno la certezza dell'accaduto. Sugli stessi luoghi, l'autrice intreccia una storia di fantasia legata agli stessi luoghi dell'accaduto circa un millennio prima. Molto importante: i luoghi raccontati sono quelli della realtà.

Cap 1 – IL VIAGGIO VERSO ARCO

Correva l'anno 1206 dopo Cristo, nella piana dell'Alto Garda.

La fila di monaci oltrepassava le acque del fiume Sarca attraversando lentamente un antico ponte al molino di Torbole, vicino alle scure acque del lago di Garda. Provenivano dal monastero di San Colombano del Priorato di Bardolino, con i loro muli carichi di vettovaglie.

I religiosi procedevano in fila, dodici giovani monaci dell'Ordine di san Colombano ed un loro anziano abate; venivano dal Priorato che fin dall'epoca longobarda e nell'alto medioevo era stato un attivissimo centro di evangelizzazione e di rinascita agricola, sotto la protezione della Chiesa. Il loro viaggio stava per volgere al termine, ed era stato progettato dai loro superiori, in accordo con il Pontefice.

Era stato il Principe Vanga, Vescovo di Trento, ad averli chiamati. Voleva accrescere la presenza dei religiosi nel suo territorio, per controllare meglio tutto il nord del lago e le sue genti. Erano tempi molto inquieti, la religione cristiana era attaccata e indebolita da molte eresie, che avevano attraversato le valli come il vento e che attecchivano come sementi fertili tra le genti stanche ed affamate.

Per contrastare il Peccato, il Principe Vescovo di Trento aveva deciso di fondare molti luoghi di culto nelle sue terre, attirando i fedeli verso gli insegnamenti religiosi più corretti, per salvare le loro anime dal fuoco dell'Inferno.

Aveva anche chiamato genti dal nord, perfino i lontani Cimbri, per ripopolare e rendere ricche le sue valli, grazie al lavoro di agricoltori e allevatori e, non ultimo, perché erano minatori addestrati ed esperti.

Per mezzo di questi suoi atti, intendeva dare un forte impulso all'evangelizzazione del territorio, edificando nuovi palazzi e torri. Desiderava l'aiuto dei monasteri e dei conventi, per favorire con l'opera dei religiosi l'espansione dei commerci, dell'agricoltura. La zona era molto adatta a coltivare viti e l'olivi, e c'era buona pesca. Con tutto ciò, voleva accrescere la cultura ed aprire nuove vie commerciali.

Aveva piena autorità civile sul territorio del basso Sarca, ma era ghibellino e non approvava le nuove libertà che l'Imperatore germanico voleva concedere ai Comuni.

Nel borgo di Arco, amministravano il territorio i liberi nobili della famiglia D'Arco, che non erano sottoposti a diritti feudali.

Il Castello, pertanto, era bene allodiale della Pieve. 


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Trama:

Due amici trentini si trovano ad investigare sulla morte di una ragazza tedesca che hanno scoperto mentre andavano in motocross sui sentieri della montagna. Era adagiata sull'altare di una chiesetta medievale, tra i ruderi dell'antica Fortezza di San Martino, a Lundo. La vicenda si svolge ai giorni nostri, in quella tranquilla parte di media montagna delle Valli Giudicarie dove si trovano i paesini di Fiavé, la frazione di Lundo e il maniero di Castel Campo. Passo dopo passo, i due investigatori interrogano cacciatori, vecchiette e personaggi leggermente fuori dagli schemi, senza mai perdere la loro vena giocosa e divertente. Le loro scanzonate indagini fanno emergere le burle e le vecchie storie di paese, creando i presupposti per svelare i colpevoli, anche grazie all'utilizzo delle nuove tecnologie. Nel romanzo vengono descritti i luoghi, tutti realmente esistenti, insieme agli eventi storici della valle, dal Medioevo fino ai primi del '900 e alla Grande Guerra. Il linguaggio usato è fedele al reale modo di esprimersi degli attuali abitanti della valle: intercalari, modi di dire e rapporti sociali tipici del luogo. La storia della valle e i caratteri dei suoi abitanti sono parte importante della narrazione, tanto che il fatto criminale risulta quasi un evento minore. La soluzione arriverà attraverso lo studio e la comprensione degli avvenimenti, insieme all'uso degli strumenti e dei siti di comunicazione sociale. I paesi di montagna sono luoghi solitamente sonnolenti e tranquilli. Ma spesso è proprio dove apparentemente regna sovrana la pace che, sotto la cenere del tempo, covano avidità e rancori...

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Estratto:

DAL CAPITOLO 1 – LA BIONDA SULL'ALTARE

Il cadavere della donna si stava decomponendo, sdraiato di schiena sulla mensa dell'altare.

Era rimasto poco della chiesetta medievale, senza tetto e con mura cadenti, solamente l'altare di pietra si era preservato nei secoli, anche se esposto ai cicli della natura.

Sulla superficie piana della mensa, il corpo stava diventando solo un ammasso molliccio e vischioso, sdraiato come se mani amorevoli lo avessero portato lì e messo in posa, quasi fosse il corpo di un martire o di una santa, per mostrarlo alla devozione dei fedeli.

Da giorni e notti le facevano compagnia solo i suoni della radura nel bosco, i cinguettii degli uccellini, i sibili del vento. E gli insetti.

Lei, pazientemente, aspettava che qualcuno arrivasse e la trovasse.


Estratto:

Dal CAPITOLO 22 – GERANI E DINAMITE

<Siì, dàaai…- disse Liro - E quella volta, con i gerani? Ricordi, Osso?>

<Sì, adesso che mi ci fai pensare mi ricordo che una notte, tornando dalla discoteca di Vezzano, io, te ed un altro, che non mi ricordo chi fosse, abbiamo spostato tutti i vasi di fiori del paese.>

<Teh! In un paio d'ore, chi aveva gerani ora aveva petunie, chi aveva fiori rossi aveva ortensie... tutto mischiato od invertito. Molto divertente!>

<Sì, dàai, Le signore facevano a gara tra loro per chi avesse il balcone più bello poi ... la mattina dopo erano disperate! Ed è dire poco.>

<Poco? È valsa la pena alzarsi presto, per vederle tutte trafelate, mentre cercavano di ritrovare i propri vasi!>

<Ti sbagli, Osso, non eravamo neanche andati a dormire, quella notte! Quelle, si alzavano già alle sei! Sembravano delle furie, combattevano per i loro vasi fioriti!>

<"Saranno stati i folletti? …. Siì, dàaai… Abbiamo "fatto bello", come diciamo dalle nostre parti> disse Osso ridendo come un matto.

<Era quello strambéra[1] del Nello, quello che era con noi.>

<Più visto. Che ne è stato?> disse Osso.

<Aveva preso in gestione un rifugio, su in valle. Ma era rimasto strambo, di soprannome e di fatto. Pensa, che davanti al suo rifugio passava un torrente di montagna, dove pescava trote e salmerini, nelle pause dell'attività. E prendeva all'amo parecchi pesci. Si era scavato una deviazione nel ruscello, per portarseli più vicini alla porta del rifugio e fare meno fatica.>

<Gran bel lavoro. Bello scavo. - apprezzò Liro - Se nessuno se ne accorge, magari è anche una bella cosa, esteticamente. L'acqua che scorre vicina, gorgogliando tra i sassi, rende più alpino un maso.>

<Siì, dàaai… Mh, però ho qualche dubbio che fosse legale. Perché c'era anche il fatto che lui per pescare usava la dinamite. Sai, ne aveva un po', la posava su un sasso, accendeva, poi…. bum! I pesci, salmerini e trote, venivano a galla, storditi. Ottimi.>

<Eh sì, del resto, quale trentino non ha della dinamite in casa…!> confermò Liro.

<Già.>

(pausa di silenzio, riflessione)

<Ce n'è ancora?>

<No, dàaai... impossibile.>

<Mh...però…>


[1]In dialetto trentino: strambo


Estratto:

DAL CAPITOLO 27 – L'INSEGUIMENTO

Correva e sgusciava di stanza in stanza, per sfuggire alle legnate, travolgendo i mobili nella sua corsa, perché ne andava della sua vita. Osso non c'era ancora, doveva cavarsela da solo.

La casa aveva molte piccole e buie stanze, piene di mobili che lui riusciva a stento a scansare, nella penombra della sera. Gli inseguitori avevano su di lui il vantaggio di conoscere gli spazi e gli ingombri. Però, nella foga, fortunatamente si agitavano tutti insieme e si ostacolavano uno con l'altro.

Finì che Liro si trovò in un locale angusto, una specie di ripostiglio, senza più uscite. Con un'espressione di feroce godimento, il vecchio Bina lo chiuse dentro, girando due o tre mandate della chiave nella porta.

Liro era in trappola, con la botta che stava iniziando a dargli un feroce mal di testa. Ma aveva con sé il fidato telefono, per cui chiamò subito Osso, spiegandogli che cosa fosse successo. Grazie al cielo, c'era campo, anche se erano tra mura spesse, di granito.

L'amico lo rassicurò, gli disse di guardarsi intorno e di cercare di bloccare la porta, intanto lui avrebbe chiamato i rinforzi.

Liro, però, gli sussurrò, per non farsi sentire: <Guarda che i battenti si aprono solo verso l'altro lato.>

<Va beh, non fare il difficile! Guardati in giro, ammucchia cose per fare una barricata davanti alla porta, resisti in attesa del mio arrivo. Intanto, inizio a chiamare aiuto, tutti quanti. Questi sono reati di aggressione e sequestro di persona, e non solo.>

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